Ragusa Ibla e il velo di case



340 gradini separano Ragusa Superiore da Ragusa Ibla, un percorso lungo e tortuoso che, in compenso, regala panorami di indicibile bellezza. Obbligatoria la sosta in prossimità della Chiesa di Santa Maria delle Scale, dove, oltre a recuperare il fiato, si può ammirare, in tutto il suo splendore, la migliore espressione dell'insediamento urbano della città antica. Hibla Heraria, questo il nome originario secondo le fonti, è situata sull'alto corso dell'Irminio, fu roccaforte destinata al  controllo della via fluviale. Nel IV sec. d.C. Ibla assunse una grande importanza come centro abitato, in quanto sorgeva in un luogo strategicamente favorevole e difeso da una cinta muraria. Anche durante la dominazione araba conservò la sua centralità nell'organizzazione politico-economica del territorio. Con i Normanni e, soprattutto con i Chiaramonte, si strutturò la città medievale, ancora in parte riconoscibile, insieme a qualche elemento scultoreo superstite. Nella parte più elevata si trovava un castello, di cui non è rimasta alcuna traccia. Dopo il terribile terremoto del 1693 fu riedificata nello stesso sito dove sorgeva la vecchia urbe.  Ed è così che oggi si offre agli occhi del visitatore, come un velo di case steso sulla collina, morbidamente poggiato sopra a seguirne le  curve sinuose,  come se, i progettisti dell'epoca, chiamati a ricostruire la città,  avessero volutamente assecondato le linee  della natura,  attenti a non stravolgerne e forzarne le forme.
Camminare per  i vicoli di Ibla è, senza dubbio, un' esperienza da provare. Passeggiare per le viuzze silenziose, dimenticare lo scorrere del tempo, percepire  la presenza umana da dietro le imposte chiuse, coglierne il respiro, non si odono voci di uomini, di donne né di bambini, ognuno intento a dar seguito alla propria occupazione. La vita sembra scorrere serena, scivolare via senza grandi clamori, senza troppo frastuono.
Si avvertono, ogni tanto, i passi dei turisti e qualcuno che strimpella i tasti di  uno strumento musicale, sembra, da lontano, un pianoforte.
Recuperare le vie principali significa ritrovare il volto aristocratico della città, con i suoi palazzi barocchi, i fasti delle famiglie nobili del tempo,  fino a giungere, da Via Capitano Bocchieri,  a Piazza Duomo, dove si erge imponente, il Duomo di San Giorgio, lievemente divergente rispetto all'asse della piazza. L' opera fu eseguita da Rosario Gagliardi, architetto tra i più famosi esponenti del Barocco siciliano, tra il 1738 e il 1775, presenta tre ordini scanditi da cornicioni in rilievo.
La cupola, vero gioiello neoclassico, è alta 43 metri, tra una colonna e un' altra, le trasparenze del vetro lasciano filtrare il blu del cielo.

Dopo Piazza Pola si giunge ai Giardini Iblei, ampio e curato spazio verde dove, sul lato destro, si trova un antico Convento dell'ordine dei Cappuccini,  risalente al 1500, recentemente restaurato con la cura e l'attenzione che si dedica ai luoghi privilegiati. Perché si, questo è un posto  di pura bellezza,  suscita emozione,  regala  armonia  ed equilibrio. Oasi di pace e benessere,  di meditazione, dove i gesti si fanno più lenti, la parola più dolce e pacata, tutto intorno silenzio, qualche nota appena accennata di musica jazz, quanto basta per accompagnare l'ospite durante il soggiorno.
Il Convento è stato trasformato in hotel, nelle celle dei frati sono state ricavate le camere, semplici e volutamente austere, per non interrompere lo stile di vita tipico dell' ordine monastico.
Un'ampia sala ospita il Ristorante, (in estate è possibile pranzare e cenare all'esterno), dove la filosofia del minimalismo e dell'essenzialità rimane inalterata, in linea di continuità con tutto il resto.


Il Cenobio, questo il nome del ristorante, è più che altro un laboratorio di sperimentazione continua, in quanto ospita la Scuola Mediterranea di Enogastronomia "Nosco", orientata alla conoscenza e valorizzazione delle risorse del territorio. Un menù vario in base alle stagioni e alla materie prime, molte delle quali coltivate in loco, presso l'Orto dei Semplici, inglobato nella struttura dell'edificio. Pane caldo, croccante, appena sfornato, realizzato con farine di grani antichi, lievito madre e tante ore di lievitazione,  senza dubbio, uno dei più buoni che abbia mai mangiato.


Per non parlare del vino, ottima e ricca la carta, preparata la giovane sommelier che permette, di volta in volta, di degustare vini pregiati del nostro territorio, così come  di etichette nazionali e internazionali.

Per le pietanze che abbiamo scelto ci è stato proposto un Frappato di Tenute Orestiadi,  prodotto nella Valle del Belice, con vitigni allevati a Guyot, dal colore rosso lucente e delicate sfumature viola. Morbido e avvolgente al palato,  oltre ai sentori floreali e di frutta rossa, ho avvertito  dei piacevoli aromi di carruba e caramello.
Il pranzo della domenica,  l'atmosfera che si respira nella sala, la pioggia d'agosto,  non  potevano trovare accompagnamento migliore.
Ma veniamo al motivo della nostra visita,  ai piatti che ci sono stati serviti dal maitre di sala che, oltre alla dote della gentilezza, possiede competenza e professionalità e preparati dall'estro creativo della promettente e giovane executive chef Simona Belluardo, diplomata alla scuola Nosco. Volevo riprovare l'antipasto "Dov'è lo sgombro?", sgombro salmistrato e affumicato in cialda di cannolo, crema di patate e cipolla rossa caramellata con crema alla mela verde, e così fu......delizia per gli occhi e per le papille gustative.

Abbiamo continuato con un trancio di tonno rosso appena scottato su crosta di sesamo, accompagnato  da verdure in salamoia.
E per  dessert, Biscotto di farina Fioretto con ganache al cioccolato fondente all'acqua con peach card, aspic all'acqua di rose e cubetti di pesca, preparazione interamente vegana.

Che dire, complimenti a tutto lo staff e al direttore della scuola, Giovanni Galesi e, per chi  avesse voglia  di rinfrancare il corpo e lo spirito l'indirizzo è quello giusto!!!!.

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